Tutto cominciò un paio di settimane fa, quando il mio fedele (o almeno così credevo) antivirus Kaspersky mi lasciò a piedi. Di punto in bianco il programma decise che internet era diventato troppo pericoloso per me e mi tagliò fuori dalla rete, impedendomi di arrivare anche solo alla home page di Google. Dopo 15-20 minuti passati invano a cercare le giuste impostazioni di Kaspersky decisi di divorziare da lui, dopo un matrimonio che durava dalla lontana versione 6 del programma, quando in Italia era ancora sconosciuto e io lo comprai direttamente dalla Russia. Quindi con una freddezza tale da congelare all’istante l’inferno lo disinstallai. Il giorno dopo misi Antivir, mio acerrimo nemico, con i suoi odiosi popup pubblicitari e i suoi aggiornamenti Always on Top che gridano “Guardami!!! Mi sto aggiornando!!! Sono un bravo antivirus!!!“.
I giorni passavano e io ero sempre più amareggiato. Circa una settimana fa decisi, più per sfizio che per altro, di installare sul mio netbook Ubuntu 10.10 RC (che poi sarebbe stata aggiornata alla release finale il 10/10/2010 alle 10:10). Discutendo con il mio caro amico Bl@ster capii che in realtà non avevo bisogno di Windows, in quanto tutte le applicazioni che mi servivano per l’università esistevano anche su Linux. Cominciai così a fare un backup dei dati più importanti prima del grande formattone quando di punto in bianco e senza un motivo apparente (e forse anche reale :D) Windows 7 si piantò. Morto. A quel punto il kernel Linux che era in me non ci vide più e con la stessa freddezza con cui avevo “ucciso” Kaspersky spensi brutalmente il computer. Attaccai al PC la pennetta che mi ero preparato con l’installer di Ubuntu 32bit e dopo svariati tentativi di azzeccare il tasto per accedere al BIOS riuscii a fare il boot da pen drive.
Da qui in poi la strada diventò tutta in discesa. Oppure no?
Installato e configurato senza problemi Ubuntu sul piccoletto passai al mio desktop. Quando, tempo fa, risistemai il mio computer predisposi un hard disk intero per Linux. In particolare installai Arch, una distribuzione che conobbi grazie a Bl@ster e di cui mi innamorai pazzamente. Solo che non installai tutto, bensì solo l’essenziale. Quindi, quando una settimana fa entrai di nuovo su Arch, mi toccò mettere un po’ d’ordine nel sistema. Di sicuro non avevo tutta questa gran voglia e mentre il tempo passava (soprattutto per installare i 500Mb di aggiornamenti arretrati) pensavo alle ore che stavo sottraendo allo studio. Comunque piano piano Arch si trasformò in uno splendido sistema operativo, degno di essere chiamato tale. Veloce, prestante e con un tempo di boot-up pari quasi al tempo di caricamento del BIOS (no, non era Flash Gordon, era il BIOS lento XD).
A questo punto mi sono detto: “Sono arrivato fin qui, tanto vale proseguire e passare all’altro computer”, tanto per richiamare una celebre frase di Forrest Gump. Il cosiddetto “altro computer” era il muletto. Un PC con una scheda madre microATX dotata di un processore Intel Atom N330 (Dual Core e con TDP di appena 8W) persa in un case miniITX (all’epoca dell’acquisto il più piccolo che trovai). Come sempre, prima di fare il passo più lungo della gamba, mi confrontai con Bl@ster per capire come si poteva procedere per tirare su i soliti sistemi P2P in modo che potessero essere raggiungibili da qualsiasi computer di casa. Leggendo qui e lì capii che l’idea non era così balorda e decisi di “piallare” Windows 7 per far posto ancora una volta ad Arch 64bit. La sera di Sabato 9 Ottobre installai il sistema di base e la mattina del 10 completai il lavoro installando demoni, programmi e quant’altro. All’ora di pranzo avevo un piccolo PC che dava filo da torcere a molti server Windows based.
E vissero tutti felici e contenti. Uhm… NO, aspetta un momento, c’è dell’altro!
A questo punto accadde l’impensabile. Sul desktop, il filesystem dove era montata la Root del sistema cedette: Bad superblock diceva, seguito da una serie di istruzioni che avrei dovuto eseguire manualmente loggandomi da superutente. Seguii i suoi consigli ed effettuai alla lettera le operazioni. Tutto tornò come prima, finché non ci fu di nuovo una scansione pianificata di fsck. Di nuovo l’errore. Per non saper né leggere e né scrivere rieseguii le istruzioni e riavviai. Questa situazione si presentò più e più volte durante la settimana, finché non decisi di prendere sul serio la questione e riparare una volta per tutte il filesystem. Questo fu il più grosso errore che potessi fare. Mi dotai di una distribuzione live ed eseguii vari controlli tra cui fsck e e2fsck. Questi programmi trovarono una miriade di errori che vennero corretti uno ad uno, finché per chissà quale motivo lo schermo diventò tale e quale a quello di Matrix. Numeri a caso si alternavano sullo schermo, solo che io, a differenza di Neo, non ci vedevo nessun mondo virtuale… Non convinto di ciò che era successo montai la partizione e con mia (neanche troppa) sorpresa scoprii che tutti i dati in Root erano spariti, ma l’ufficio oggetti smarriti (AKA cartella lost+found) si era popolato di dati. Ancora un po’ restio nell’accettare la perdita di quasi tutto il sistema riavviai il PC e cercai di bootare Arch. Questa volta si, con mia grande sorpresa, non solo era sparito il sistema, ma per di più Grub si faceva beffe di me!!! Di seguito uno screenshot dei messaggi d’errore.
Bailing out, you are on your own. Good luck. Come per dire “Hai voluto fare casini? Ora sono affari tuoi.”
Di chi è stata la colpa della corruzione della partizione? Uhm… sinceramente non ne ho idea… Fatto sta che ho deciso di cambiare hard disk in quanto quello che c’era era un vecchio, vecchissimo Maxtor SATA da 160Gb, con la bellezza di 2 e dico due Mb di buffer! Così stamattina sono andato a comprare un bellissimo Western Digital Caviar Green Power 500Gb con 32Mb di buffer, che solo dal nome ti restituisce un senso di maestosità ed affidabilità.
Avete presente la classica situazione da film in cui l’intrepido protagonista non sa quale filo tagliare? Filo rosso o filo blu? Rosso o blu? Beh dentro al mio PC non c’è molta differenza. Ho avuto la brillante idea di comprare tutti gli hard disk uguali, in modo da rendere quasi impossibile la loro distinzione.
Nonostante questo ulteriore contrattempo sono riuscito ad avviare l’installazione. Dopo aver installato Arch più e più volte si può quasi dire che le dita sapevano da sole cosa premere. Infatti l’installazione è proceduta senza intoppi se non che al riavvio Grub non trovava l’initrd. O.O Un deja vù? No, ma mi ha riportato alla mente un problema noto sul mio computer: il mio hard disk esterno in eSATA, a quanto pare, è più importante per Arch di quanto lo sia per Grub. Il che significa che, mentre Arch insisteva nel mettere questo disco come primo dell’elenco, grub lo poneva per ultimo. Niente panico direbbe Douglas Adams, il problema si è risolto facilmente modificando la voce di Grub. Fu così che riuscii finalmente ad entrare nel mio nuovo sistema operativo. Ma, com’è ovvio che sia, c’è un ma. La procedura d’installazione è stata troppo facile, e il sistema ha voluto punirmi per averci impiegato troppo poco tempo con un errore. L’unico errore che avrei sperato di non rivedere mai più. Proprio quello che mi ha portato a comprare un nuovo hard disk e che mi ha fatto perdere un pomeriggio di lavoro: Bad superblock. Arrivato a questo punto però ho deciso di ignorare il problema, in quanto le probabilità che un filesystem appena creato su un disco nuovo di zecca sia danneggiato sono decisamente basse. Mi sono ripromesso però che se mai si ripresenterà l’errore chiederò, come di consueto, al mio amico Bl@ster, molto meglio di Google e soprattutto meglio di un fsck buttato a caso in una console di qualche live (l’esperienza ahimé insegna). Passato anche questo ostacolo ho finalmente cominciato a vedere la luce alla fine del tunnel. Che sia invecchiato così tanto davanti a questa tastiera da essere arrivato alla fine della mia vita? Nhaa, semplicemente mi mancava veramente poco per terminare l’installazione e la configurazione del sistema. Fortunatamente le partizioni di boot e di home del vecchio hard disk non sono state danneggiate, per cui sono riuscito a ripristinare tutte le mie impostazioni e il mio bootmanager in un attimo. Quello che mancava a questo punto erano solo i pacchetti di pacman e yaourt. Niente di più semplice: pacman -S e poi il pacchetto. Facile no? No, se non ti ricordi il nome delle applicazioni. Alla fine mi sono ritrovato un sistema con qualche buco qui e lì dovuto a pacchetti dimenticati o totalmente ignorati. È più o meno come costruire una casa scordandoti di tanto in tanto qualche colonna portante… Spulciando la documentazione e importunando per l’ennesima volta Bl@ster alla fine il sistema si è ritirato su, più bello che mai ed ora posso dire fieramente di essere un Arch user. 🙂
Finalmente quest’odissea è giunta a termine. Se Ulisse ha dovuto navigare per tutto il Mediterraneo prima di poter tornare a casa beh, io quanto meno ho dovuto navigare per tutta la rete. D’altronde questa è l’evoluzione e navigare su internet a bordo di una barchetta al giorno d’oggi non mi pare una scelta saggia ;D