“Alt! Chi siete? Cosa portate? Si, ma quanti siete? Un fiorino!”
Cit. Non ci resta che piangere (1984)
Siamo sommersi di distribuzioni di ogni forma e dimensione ormai. Se non altro è facile trovare quella che soddisfa appieno le proprie esigenze, anche se l’hard disk chiederà pietà molto presto, a forza di format…
In questi ultimi tempi ho provato quelle principali e ora vi esporrò le mie impressioni.
Arch Linux
Cominciamo con il parlare della mia distribuzione preferita. Pregi? Molti. Difetti? Altrettanti. Per fare un paragone Arch è ciò che un falegname vede quando si trova davanti delle tavole di legno; ci puoi fare di tutto, ma devi avere un certo livello di conoscenze (non eccessive, sia chiaro) e non è detto che il risultato sia soddisfacente. Quando si installa questa distribuzione per la prima volta, tutto ciò che si ha è… nulla. Ogni cosa va costruita a mano. Non stiamo al livello di Gentoo, dove ogni pacchetto va scaricato come sorgente e compilato, però comunque le configurazioni sono totalmente affidate all’utente. Pacman è il gestore di pacchetti predefinito ed è molto curato e prestante. Il grosso problema di Arch è che i pacchetti sono affidati a singoli sviluppatori indipendenti e questo porta alcune volte ad avere aggiornamenti che non possono essere portati a termine per delle dipendenze non risolvibili o per conflitti con i file già presenti nel sistema. Non sono comunque problemi che possono nuocere la propria installazione, in quanto come a voi, lo stesso problema si sarà sicuramente presentato ad altre mille persone e per questo è facile trovare una soluzione immediata in giro per la rete, però comunque è una scocciatura cercarla.
Il sistema, se ben configurato, è scattante anche su macchine non proprio all’avanguardia, anche se il Desktop Environment potrebbe non soddisfare appieno. Il motivo sta nel fatto che non si può usufruire (a meno che non si ricorra a pacchetti “custom” nel reopsitory di AUR) delle personalizzazioni che i vari sviluppatori fanno per i propri ambienti (vedi Unity per Ubuntu o MGSE per Mint). Allo stesso tempo i puristi potrebbero vedere questo fatto come un valido motivo per avere un DE senza troppi fronzoli.
Ubuntu 11.10
Senza mezzi termini è la versione che mi ha fatto scappare dai rilasci di Canonical. Se Unity da una parte ha cercato di dare un carattere più “Canonical like” ad Ubuntu, dall’altra l’ha appesantito enormemente rendendola una distribuzione al limite dell’usabilità. Se poi andiamo a scavare sotto le apparenze del sistema troviamo un mondo esoterico in cui le cose funzionano per magia. Demoni che avviano demoni, tonnellate di pacchetti inutili, diversi metodi di gestione dei processi all’avvio e molto, molto altro.
Diciamo che questa distribuzione non è solo causa di problemi. La pesantezza è dovuta in parte alla necessità di soddisfare le esigenze di tutti gli utenti insieme, proprio perché si pone come un sistema operativo pronto all’uso, che non richiede configurazioni a meno che non siano strettamente necessarie. Resta, per questo, sempre un buon inizio per chi s’imbarca per la prima volta nel mondo Linux. Dopo averci preso dimestichezza, però, diventa naturale cercare la propria strada in altre distribuzioni.
Per quanto riguarda il gestore dei pacchetti si vede che deriva da un’azienda commerciale in piena crisi: l’Ubuntu Software Center è diventato l’App Store di turno, come se i soldi portati da quest’ultimo alla Apple fossero un’inaspettata sorpresa. Resta comunque attivo il buon caro e vecchio apt-get.
Debian 6
C’è poco da dire su questa distribuzione; è ottima in ambito server per la sua stabilità e affidabilità, caratteristiche che, d’altro canto, la rendono un po’ obsoleta in confronto alle altre alternative disponibili. Non è detto comunque che questo sia un difetto; nell’ultimo anno abbiamo assistito ad una vera rivoluzione di molte componenti essenziali dei sistemi Linux, a partire dal kernel e arrivando al Desktop Environment Gnome. È proprio per questo che rappresenta il gommone di salvataggio per chi si sente naufrago in questo mare di novità, infatti Debian 6 è una delle poche distribuzioni che ha mantenuto ancora la vecchia, ma anche ben consolidata, Gnome 2.3.
Il package manager? Lo stesso di Ubuntu e di Mint (di cui parlerò poco più avanti), ovvero Aptitude. Semplice da usare e con autocompletamento sul nome dei pacchetti. È forse il gestore più affidabile tra tutti quelli usati nelle varie distro e può contare su un’analisi minuziosa di tutti i pacchetti da parte degli sviluppatori, non indipendenti come accade per Arch, bensì controllati direttamente da Canonical.
Mint 12
Tralasciando la versione Debian Edition di questa distribuzione, in quanto sorella gemella di Debian, la release 12 si è fatta strada di recente per un paio di novità che ha introdotto. Alle lamentele degli utenti della rivoluzione subita da Gnome, Mint ha risposto tirando fuori dal proprio cilindro magico le Mint Gnome Shell Extensions, ovvero dei plugin che installati in Gnome 3, rendono meno alto il dislivello tra la versione 2.3 e la 3 di questo Desktop Environment, facendo ritrovare agli utenti quelle funzioni, quei menù che tutto d’un tratto hanno visto sparire, ma lasciando allo stesso tempo tutte le innovazioni, in modo che quello stesso utente possa progressivamente aprire gli occhi verso nuovi orizzonti.
Purtroppo queste estensioni non sono proprio stabili. Ecco, diciamo che hanno la brutta fama di crashare rendendo la ricerca delle icone sul desktop una caccia al tesoro… senza mappa…
Per questo motivo Mint ha rinfilato la mano nel cilindro tirando fuori Cinnamon, che sta facendo parlare di sé proprio in questi giorni. Se le Shell Extension avevano problemi di stabilità, tanto valeva fare un Desktop Environment ex-novo che ricalcasse le buone intenzioni delle MGSE. Peccato che, almeno a parer mio, abbiano toppato più di prima. Se Gnome 3 ha richiesto mesi per il suo sviluppo, non è possibile tirare su un ambiente simile in poche settimane che sia anche soddisfacente per l’utente. C’è da dire che almeno non soffre di crash come le estensioni, ma in quanto ad usabilità è meglio vim ed ho detto tutto…
Fedora 16
Mi sono lasciato per ultimo Fedora perché in realtà non ho molto da dire. Quindi confido nel fatto che voi siete stanchi di leggere e sarete sollevati di avere ancora poche righe davanti prima di arrivare alla conclusione. 🙂
Fedora è prodotta da Red Hat e se quest’ultima è l’unica azienda a non essere in crisi finanziaria ci sarà un motivo. Questa distribuzione è pensata per un ambito aziendale, tant’è che durante l’installazione, la prima cosa che chiede è se farà parte di un sistema di storage enterprise. Mi ha sorpreso il fatto che sia l’unica distribuzione a permettere agilmente un partizionamento LVM e per questo l’ho depennata come una distribuzione che ispira professionalità.
Vengono distribuite tante iso quanti sono i Desktop Environment inclusi, in modo da poter installare a colpo sicuro il sistema giusto per le proprie necessità. Dall’altra parte però sono rimasto un po’ deluso dalla scarsità dei pacchetti distribuiti attraverso il package manager YUM. A dire il vero non ho passato molto tempo con questo sistema e potrebbe essere una falsa impressione ed è per questo che comunque reputo Fedora come una distribuzione che porta curiosità.